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Anton Raphael Mengs - Il nuovo Raffaello di Dresda

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Dieci anni dopo la morte della moglie, Ismael Mengs decise di interrompere la sua attività di pittore alla corte sassone di August III per intraprendere con la sua prole, tre figli, un viaggio di formazione in Italia che durò tre anni. Una volta a Roma, l’ambizioso padre obbligava il figlio tredicenne Anton Raphael a passare le sue giornate rinchiuso nelle stanze dipinte da Raffaello al Vaticano e a Villa Farnesina. Lo aveva dotato di fogli e matite e solo a sera, una volta finito il suo compito, lo lasciava uscire. E fu così che per il giovane il suo omonimo divenne il modello di artista che lo accompagnò per tutta la vita. Seppur discutibile il metodo educativo, il giovane Mengs riuscì in tal modo ad apprendere le tecniche dell’affresco che, in seguito, sia a Roma sia in Germania, tornarono a nuova vita tanto che le corti romane si rifecero dipingere le pareti dei loro sontuosi palazzi con affreschi, ossia calce fresca sulla quale si sparge il colore, un tecnica pittorica nota fin dall’antichità.

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Raphael Mengs, autoritratto a 12 anni 1740, Dresda, staatl. Museen

Quando Mengs Padre, nel 1728 decise di chiamare suo figlio Anton Raphael non fu del tutto casuale, infatti egli prese i nomi di battesimo dei pittori italiani da lui più venerati: Antonio Allegri, detto il Correggio, e Raffaello Santi. Mengs padre nutriva, ovviamente, la speranza che suo figlio sarebbe divenuto un giorno altrettanto famoso. E indubbiamente, il giovane aveva del talento come dimostra il suo autoritratto dipinto a Dresda a 12 anni. Anche August III riconobbe le abilità del giovane tanto che lo protesse e lo nominò pittore a soli 16 anni presso la sua corte.

A seguito di un altro soggiorno romano durato due anni, per desiderio del padre, i figli protestanti si convertirono alla religione cattolica. L’ormai ventunenne Raphael cercò di sottrarsi alle eccessive attenzioni del genitore e, andando alla ricerca di una modella per le sue madonne, si imbatté in Margherita Guazzi, una giovane popolana. Ella non divenne solo la sua modella bensì anche sua moglie con la quale ebbe un’unione felice. Il calore umano e l’amore della famiglia italiana lo ripagarono di tanta mancanza emotiva, provata nella sua infanzia. Con la moglie rientrò in patria, a Dresda, e quando August III lo volle incaricare delle pitture per la chiesa di corte, egli accettò solo a condizione di poter dipingere a Roma, il luogo in cui poteva avere i pittori tanto amati, Raffaello e Correggio, davanti ai suoi occhi. Il re comprese e, nel 1751, nonostante avesse destituito dal suo incarico Raphael, continuò a rimunerarlo.

Una volta tornato a Roma, la città delle infinite suggestioni artistiche, per Raphael Mengs era chiaro che avrebbe voluto restarci per sempre e, così, prese un appartamento e un atelier in Via Sistina. Il più grande riconoscimento per lui fu quando venne ammesso nell’Accademia di San Luca, grazie anche alla quale poté ricevere molte commesse di lavoro. Anni dopo arrivò a Roma lo studioso dell’antichità J.J. Winckelmann il quale andò a risiedere non lontano dall’abitazione di Mengs. L’incontro dei due fu decisivo per lo sviluppo artistico di Raphael non solo perché il giovane studioso divenne un suo caro amico, bensì pure perché gli fece scoprire l’ideale dell’arte classica. L’ideale di bellezza dell’antichità che idealizzava dei ed eroi era strettamente connesso al concetto di moralità.

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Raphael Mengs. Il Parnasso, 1761 Roma, Villa Albani

Il lavoro che al meglio documenta la collaborazione tra Mengs e Winckelmann è certamente un affresco sul soffitto del 1760 con il tema mitologico del “Parnaso” che si trova nella Villa Albani, oggi non accessibile al pubblico perché dimora privata. Lo stesso tema era già stato trattato da Raffaello nella “Stanza della Segnatura” in Vaticano. Mengs, però, non fece una mera imitazione dell’opera raffaelliana, bensì si lasciò ispirare per creare qualcosa di più moderno.

A Roma Raphael Mengs divenne l’inventore della pittura classicista, così detta perché si ispira alla produzione classica antica, imponendo nuove norme e scoprendo temi eroici. Il corrispettivo parigino del pittore Mengs era l’allora ancora più famoso pittore Jaques-Louis David. Il francese, con più veemenze e coerenza, però, era impegnato nella rivoluzione stilistica contro l’esuberanza eccessiva del Barocco e del Rococò. Fu, però, proprio Mengs a guidare David nelle sue riflessioni durante i cinque anni del suo soggiorno romano dal 1775, come borsista presso l’Accademia di Francia, e, fu proprio a Roma, che David trovò nuovi temi pittorici ed espressioni artistiche. Il suo quadro più rivoluzionario, “Il giuramento degli Orazi”, lo dipinse durante un altro suo soggiorno a Roma nel 1784, in seguito fu esposto in una mostra a Parigi ed ebbe subito un effetto dirompente per il tema eroico trattato, per l’incredibile forza pittorica, per i contorni nitidi e per le scelte stilistiche che si lasciavano alle spalle tutto ciò che fosse superfluo o prettamente decorativo. I dipinti di Mengs, per contro, non furono mai realizzati con quello stile così radicale, perché la sua pittura tornava sempre su quell’ideale di bellezza rappresentato dall’esempio raffaelliano.

Ma c’erano anche altri motivi che portavano Mengs a non essere un classicista così determinato. Mengs era stato pittore di tre diverse corti, quella di August III a Dresda, quella papale a Roma e quella di Carlo III a Madrid. Ovunque aveva ottenuto riconoscimenti ed onori. Tuttavia essere pittore di corte comporta anche dover fare dei compromessi. Mengs era uno straordinario ritrattista, così, nei molti dipinti di regnanti e papi, egli era obbligato a dipingere secondo tradizione, rimarcando, di volta in volta, l’importanza del soggetto ritratto in pompa magna con i simboli del potere.

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Raphael Mengs. Autoritratto 1778, Berlino Staatl. Museen

Per contro, i suoi autoritratti e i ritratti dei suoi amici sono pregnati di una profonda intensità psicologica. Nell’autoritratto del suo ultimo anno di vita del 1779, il pittore si ritrae impietosamente mostrandosi nel suo precario stato fisico e psichico, è assente qualsiasi messa in scena. Già negli anni in cui si trovava come pittore di corte a Madrid si manifestarono i primi segni di depressione.

Dopo sette anni, nel 1769, fece di nuovo ritorno a Roma. Cambiò spesso, con la sua numerosa famiglia, residenza. Si trasferì per un anno a Firenze, poi di nuovo brevemente a Madrid, Napoli, Firenze e nuovamente a Roma, la sua vera patria. Dei suoi quindici figli, solo sette sopravvissero, una figlia divenne pittrice. Quando nel 1778 sua moglie Margherita a 48 anni morì, Mengs, per motivi di salute, si trasferì per un ultima volta, andando a vivere in via Sistina, dove aveva già abitato agli inizi del suo soggiorno romano. Lo stesso mese egli morì a soli 51 anni, esattamente alla stessa età del suo amico Winckelmann.

La sua tomba si trova nella Chiesa di San Michele in Sassia, vicino a San Pietro. Sebbene il pittore venisse sempre ben rimunerato, non riusciva a gestire il denaro, tanto che dovette vendere il suo servizio d’argento come pure la preziosa croce d’oro al merito regalatagli dal papa, per poter mettere da parte l’occorrente per la sua sepoltura.

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Bibliografia

Hanns Geller. Artisti tedeschi a Roma 1961

Mengs. L’invenzione del classicismo. Catalogo della mostra, Dresda 2001.

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